Tutti noi ricordiamo bene che cosa facevamo l’11 settembre 2001, e ci domandavamo: davvero un gruppo di terroristi era stato in grado di pianificare e realizzare tutto questo? Era bastato l’impatto di due veicoli a far crollare le Torri? I legami economici tra la famiglia Bush e quella di Osama Bin Laden – subito dopo l’attentato il terrorista saudita diviene, per chi non lo ricorda, il ricercato numero uno da tutte le forze militari americane – non avevano nulla a che vedere con quella catastrofe?
Sono questi gli interrogativi da cui parte Alessandro Mancuso per descrivere la costruzione delle diverse narrazioni dell’11/9, sia mainstream che bottom up. È proprio su questa convergenza tra narrazioni top down e rielaborazioni dal basso che, secondo l’autore, si possono leggere diverse metabolizzazioni della realtà.
Lo scrittore nel suo 11 Settembre 2001 e l’industria culturale. Diverse narrazioni di una stessa catastrofe (Città del sole edizioni, pp. 88, € 10,00) affronta, inizialmente, «il campo di indagine riguardante l’immaginario collettivo» e il problema della prevalenza dell’informazione sul sapere. Infatti, «in una società come quella capitalistica occidentale […], capire il funzionamento dei processi mentali immaginifici e studiare a fondo il sistema dell’immaginario si impone come necessario per chiunque voglia conoscere realmente i meccanismi che stanno alla base di logiche di natura socio-economica di portata mondiale».
Le immagini trasmesse in tv, infatti, sono la prima cosa – oltre all’incredulità suscitata da ciò che stava accadendo – a cui pensiamo quando ci parlano dell’attentato avvenuto a Manhattan l’11 settembre del 2001.
Thomas Pynchon e il suo romanzo sulla paranoia collettiva
Il lavoro di Mancuso esce in concomitanza con il romanzo, anch’esso nelle librerie italiane da circa un mese, di Thomas Pynchon – denominato il “postmodernista della letteratura” –, La cresta dell’onda (edito da Einaudi), che è stato definito dai critici un «libro sulla paranoia come cifra del nostro tempo, che si nutre di complotti e intrighi o presunti tali e penetra in modo inesorabile nelle coscienze dei singoli». Questa condizione – di vittima e di carnefice, nello stesso momento – imposta dall’establishment americano, e non solo, pone il lavoro del newyorkese Pynchon (autore, tra l’altro, de L’arcobaleno della verità) sulla stessa “lunghezza d’onda” del primo saggio scritto dall’attivista calabrese.
«Si può pensare – scrive Mancuso – all’immaginario come a un sistema in continuo cambiamento che pone le immagini in relazione tra loro, rendendole un patrimonio simbolico attraverso una relazione costante tra individuo e ambiente […]. Esiste perciò un rapporto dialettico e continuo tra realtà e immaginazione della stessa». Quindi, sono proprio le rappresentazioni prodotte dall’industria culturale ad influenzare, incisivamente, le nostre coscienze ma soprattutto la nostra percezione della realtà. Più precisamente si dà risalto al modo in cui la vicenda – l’attacco alle Torri – viene presentata al pubblico: «da un lato vi è un’élite culturale che prepara i contenuti e le forme da propagare, da un altro vi è una società civile che riceve e subisce passivamente questi messaggi».
Jean Baudrillard e Gilbert Durand accompagnano il lettore
Il saggio è ricco di contenuti e di citazioni pertinenti. Il focus si sposta, proseguendo con la lettura, sull’enorme ricaduta di questo evento su tutto il mondo occidentale: «il terrorismo ha colpito il cuore del sistema» e, secondo Jean Baudrillard, «il reale si aggiunge all’immagine come un premio di terrore, come un brivido in più. Non solo è terrificante, ma per di più è reale». Per meglio spiegare quanto l’immagine influisca sulla realtà, non viene chiamato in causa solo il sociologo francese, ma anche un illustre studioso come Gilbert Durand (che fu, inoltre, professore di Sociologia presso l’Università di Grenoble), il quale mette in risalto, appunto, lo scontro tra l’occidentale “regime diurno” – un insieme di simboli che rappresentano le forze ascensionali (i grattacieli) – e il “regime notturno” proprio delle filosofie orientali – un’unione di fattori che rappresentano forme di discesa in profondità nell’intimo umano, della caduta (gli aerei che abbattono le Torri). Lo stesso Durand fornisce strumenti per leggere gli attentati come scontro tra “regimi dell’immaginario”. Il collegamento sta proprio in questo: la sconfitta di un sistema (americano) «che aveva, quanto meno, la presunzione di definirsi inattaccabile». Inattaccabile perché dal “secolo breve” (Eric Hobsbawm docet) in avanti non aveva mai ricevuto un’offensiva nei propri confini; inattaccabile perché considerata la potenza economica e militare più influente del mondo.
L’ultima parte del libro si concentra sul racconto mediatico, in particolare quella americano, costruito dal 2001 in poi; si cercò fin da subito di «mettere in piedi […] una narrazione in cui gli Usa erano la vittima e l’Islam il carnefice». Questo elemento caratterizzante – il riassestamento dell’identità americana – si evidenzia sia nei canali informativi più convenzionali che nelle produzioni cinematografiche (ma anche nelle serie tv) americane del terzo millennio; Mancuso cita la serie Breaking Bad e il documentario 11 settembre. Ipotesi di complotto ma anche i film 11 settembre 2001 (diviso in undici episodi), United 93 e La 25ª ora (dove per la prima volta, nel cinema, viene mostrato Ground Zero).
Pieno di riferimenti culturali, il saggio di Mancuso, anziché dare risposte alle domande suscitate dalla paranoia dilagante, fornisce prospettive prima non prese in considerazione.
Paolo Veltri
(direfarescrivere, anno X, n. 108, dicembre 2014) |