Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
Lo sport ai tempi del post-fascismo:
il racconto della parabola esistenziale
di una tormentata ex stella del calcio
I colori del Sudamerica e il ricordo dell’Italia. Da Rubbettino,
un premiato esordio letterario narra la capacità di rinascita
di Pamela Quintieri
«Anche quella sera i clienti se ne andarono almeno mezz’ora prima della chiusura. Rimanevo solo io nel locale, visto che Hernan, il barista, già da qualche minuto era sparito in cucina. Stavano trasmettendo un film con John Travolta e lui non sarebbe stato tanto stupido da perderselo. Terminai la birra e posai la bottiglia sul tavolo, con le altre già svuotate. Le contai. […] A quel tempo avevo dei problemi con l’alcol. O meglio, i problemi ce li avevo senza l’alcol».
Immagini fragili, semplici, rifinite prendono vita dalle parole, a descrivere una storia piena, forte, incisiva ma dai contorni delicati e spesso didascalici, fatta di cadute e dello slancio di volersi rialzare. La storia di ogni uomo che gioca la sua partita con il destino. Come è anche quella di Sauro, che si trova a vivere in Sudamerica dopo esservi approdato da turista e che, un giorno, finisce con l’incontrare un vecchio barbone di nome il Brujo. I due immediatamente si sentono affini e diventano amici, tanto che il Brujo rivela ad un certo punto di essere in realtà Nesto Bordesante, stella del calcio.
Nesto racconta, quindi, la sua vita, a partire dall’infanzia vissuta in orfanotrofio, per passare all’adolescenza trascorsa nella pampa e, infine, alla carriera di calciatore, che lo porterà tra onori e gloria molto in alto, nel contesto della propaganda fascista. Ma la storia serba sempre in sé profondi cambiamenti e stravolgimenti, e la caduta del regime di Mussolini segnerà la disfatta di Bordesante come calciatore e come uomo. Tutto dunque sembrerebbe perduto, finito, annientato, invece Nesto riparte dal basso come allenatore di una piccola squadra che saprà portare alla fama facendo vincere partita su partita. Tuttavia, per lui le sventure non sono ancora finite: cadrà infatti nella morsa del gioco d’azzardo, finché, grazie ad una casualità del destino, cambierà la sua identità, fino all’incontro miracoloso e intenso, edificante e improbabile, con Sauro.
Stiamo parlando dei due protagonisti, coinvolgenti e singolari, di Altre stelle uruguayane (Rubbettino, pp. 226, € 14,00), il romanzo d’esordio di Stefano Marelli. Il testo è risultato vincitore del Premio letterario calabrese “Parole nel vento”, edizione 2012, ed ha concorso al Premio “Bancarella Sport” nel 2014.
Veloce, scattante, un excursus personale e umano che vibra nel tempo, che persiste, come la nota che viene dalla corda tesa di un violino, regalando brividi di emozione, lirismo, realismo puro.
«Chi aveva parlato si era preoccupato di usare un tono abbastanza forte da sovrastare i Bee Gees, che in cucina stavano dandoci dentro sul serio. Mi voltai. L’uomo aveva un solo occhio ed era vecchissimo, calvo, piuttosto alto. Era vestito di stracci e puzzava di brutto. Un barbone in piena regola».

L’autore e la sua penna
La scrittura fluida, pungente, cruda sa catturare e convincere con la sua analisi penetrante che alla particolarità di una trama frastagliata, densa, carica abbina spesso la sorpresa, in modo da risolvere sempre la possibilità di una narrazione molto lineare e da sottendere, così, la grandezza espressiva di un autore alla sua prima fatica letteraria, ma dotato della scaltrezza e delle doti dei grandi narratori.
Così quei personaggi dalla vita singolarissima, Sauro e il Brujo, in balìa della sorte e delle trame del destino, ci appaiono veri, appassionati, vicini come qualcuno che, pur non conosciuto direttamente, ci fa interessare alla sua vita per le tormentate vicissitudini esistenziali e morali. Così le pagine scorrono, volano via veloci e le situazioni si succedono, catturando e racchiudendo in sé il senso dell’intero racconto.
«Troppo deboli e disorganizzati per ottenere punti in modo leale, a cadenza regolare venivamo aiutati da arbitri prezzolati che, nemmeno in maniera troppo nascosta, provvedevano ad assegnarci rigori inesistenti, ad espellere i più forti dei nostri avversari e ad annullare senza motivo la metà dei gol che subivamo».
Questo un assaggio della penna dell’autore, Stefano Marelli, ticinese, nato nel 1970, appassionato di Tom Waits, del pastis e delle rane fritte. Attualmente trascorre la sua vita a Sagno, nella confederazione elvetica, dove si dedica alla scrittura di sottotitoli per la televisione svizzera. Il suo stile è realistico, aspro, spesso tinto delle amare note delle delusioni dell’esistenza.

Conclusioni
Ciò che viviamo, che sperimentiamo in prima persona sulla nostra pelle diviene parte di noi, si plasma con le nostre intenzioni, ci rende diversi. E tutto ciò che ci esalta, che spinge in noi il desiderio di un riscatto civile o semplicemente morale ci eleva, traspone la nostra anima al di là dell’umano sentire; è una sensazione che si compone dentro di noi, una necessità travolgente di non perire di fronte al bieco sconsolato destino, ma di volerlo cambiare e sovvertire dall’interno come se un barlume di speranza – quello che gli eventi umani imprevisti sanno dare – potesse renderci persone nuove, cancellando di colpo tutto con una rinnovata esistenza.
«Ostia, pensai, io non sono certo in formissima. Ma se qui c’è qualcuno con dei problemi, quello sei proprio tu, barbone d’un nonno. Sospettai che Hernan avesse ragione: lo straccione era già uscito di cotenna. Ma mi sbagliavo. Il vecchio, infatti, vedendomi smarrito, completò il concetto toccandosi una guancia: alludeva alla puntura di una zanzara».
La vena narrativa lucida, folgorante, meravigliosamente carica di luce dell’autore sa dipingere con una sana attenzione, che ha poco di pessimista, situazioni anche inverosimili, trasponendole sul piano della realtà come se vi appartenessero ciecamente, e noi lettori ne venissimo divorati ma al tempo stesso alimentati e sorretti.
Ciò appare quanto mai calzante, in un momento storico in cui non esistono certezze, in cui i punti fermi crollano…
Se dunque nessuno ha certezza del domani, bisogna giocare bene, molto bene, le proprie carte, cioè quelle doti, quegli apparati che abbiamo a disposizione per costruire la nostra strada nel mondo. E questo libro racchiude un suo intento etico nascosto ma corretto, disegna una strada morale, iperbolica, unica che insegna quanto la vita possa essere imprevedibile, ricca e speciale se sappiamo coglierne la bellezza nascosta, celata, avvinta. Solo così si possono scrivere nuove pagine di storia, quella maestosa della grandezza che l’essere umano, qualunque gradino sociale occupi, custodisce dentro di sé.
«Il vecchio si divertiva nel vedere la mia faccia tempestata di punti interrogativi. Ghignò e proseguì: “Mi ascolti. Se vuole curare le punture, useremo un certo rimedio. Ma se invece intende evitare che le zanzare la pizzichino, allora agiremo in tutt’altra maniera”».

Pamela Quintieri

(direfarescrivere, anno X, n. 106, ottobre 2014)
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