Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
Tra vicoli, piazze, strade e mercati:
un viaggio “nel cuore” di Palermo
a riscoprirne le radici storico-culturali
Il passato di una città di marinai, filosofi, emiri e imperatori
in un mirabile percorso documentale. Dario Flaccovio editore
di Maria Laura Capobianco
Zyz: il fiore splendente. Era così che i navigatori fenici avevano chiamato quella città che, circondata dalle acque di due grandi fiumi, dall’alto sembrava avere proprio il profilo di un fiore. Qualche secolo più tardi, i Greci ne avrebbero fatto un grande attracco, dandole il nome che più di tutti ne descriveva l’essenza e la vita: Panormus, ovvero “tutto porto”.
Che Palermo sorga, proprio come un fiore, sulla base più volte stratificata e sui sentieri sovrapposti di tante epoche è una nozione comune sia agli isolani che abitano la città, sia a chi giunge da fuori, attratto dal desiderio di vedere il luogo che fu l’approdo di marinai, la patria di filosofi, la conquista di emiri e la dimora di imperatori; quegli imperatori, i Normanni, che avrebbero mantenuto l’antico nome greco della città, ripetendolo e modellandolo fino alla forma Balermuh. Che la città, passata di scettro in scettro e di cultura in cultura, appaia oggi come un colossale museo a cielo aperto delle civiltà che hanno abitato il Mediterraneo fin dalle epoche più antiche è un dato di fatto ormai a tal punto assimilato dai palermitani che le sue vestigia intrecciate, accostate senza apparente soluzione di continuità, non sempre suscitano l’ammirata curiosità che dovrebbero.

Fra emirato e capitale imperiale
Palermo, proprio come il suo nome, ha subìto un costante, ininterrotto, lunghissimo modellamento: Henri Bresc, direttore del Centro di ricerche storiche e culturali dell’Occidente, nel volume Palermo al tempo dei Normanni (Dario Flaccovio editore, pp. 288, € 15,00), tenta – con successo – l’intricata impresa di rintracciare, nella polvere degli archivi e nelle pietre delle strade medievali, le idee, i progetti e le necessità che, di volta in volta, hanno contribuito a conferire a Palermo l’aspetto che tutt’ora mantiene.
«Al tempo dei Normanni», recita il titolo, eppure la prima sezione del volume è necessariamente dedicata ai grandi dominatori musulmani giunti in Sicilia ben prima di Federico II: i Fatimidi. Negli ampi spazi dell’allora centro fluviale, essi tradussero e ricrearono le medesime strutture urbanistiche delle città del Maghreb: ecco allora i darbu, strade strette e chiuse – il cui nome arabo sopravvive ancora in certi distretti palermitani – che incrociandosi danno luogo alla formazione di piccole cellule comunitarie, tutte affacciate su un cortile e un pozzo comune. Oltre questo confine le donne di casa potevano celarsi, e si celano tuttora, dietro un lenzuolo steso o una barricata artificiale, intente ora come allora a condurre la medesima riservata, nascosta, pudica vita domestica. Nella Palermo di mille e cento anni fa, abitata da commercianti e lavoratori arabi, greci, ebrei, la vita si svolgeva lungo il corso del Kemonia e del Papireto, oggi scomparsi, allora luoghi di lavoro più che meri elementi naturali – vi si trovavano i mulini, gli acquedotti, vi avveniva la pulizia delle carni destinate alla Vucciria. La peste del XIV secolo, la Rivolta del Vespro, le carestie, hanno via via modificato il volto del luogo: le numerose case a un piano – una volta abbandonate e rimaste senza copertura, chiamate xirbe o hyrbe, dall’arabo khirbe – venivano trasformate in orticelli e piccoli frutteti, i famosi giardini che, diffusi in tutta la città, le conferivano l’aspetto lussureggiante ed esotico celebre fra i nobili viaggiatori dell’epoca.

Palermo dei re, Palermo del popolo
Da selvaggio giardino, abitato da animali e uomini, Palermo diviene solenne residenza reale, si inorgoglisce, si disciplina, si assegna un nuovo ordine: le strade vengono rese regolari, sorgono palazzi e chiese, le abitazioni cominciano a svilupparsi in verticale, segno di una nuova consapevolezza nella gerarchia sociale. I palazzi della classe dirigente, divenuti luoghi politici e militari, si innalzano, si dotano di finestre, balconi e bandiere; le piazze cessano di essere simili ai bazaar arabi – grandi, chiassosi mercati di carne, frutta e ortaggi, come la Vucciria –, nobilitandosi e assimilandosi al nuovo ruolo militare della città: le piazze del mercato vengono controllate e regolamentate, per lasciare spazio alle vaste, ordinate platae, le piazze-luoghi di assemblea cittadina, come piazza Marina di fronte a Palazzo Steri. Contemporaneamente, i palermitani sviluppano un profondo riguardo nei confronti della presenza reale in città: in onore della dinastia aragonese, e con la partecipazione della stessa, vengono allestite parate, feste e luminarie. La stessa vita religiosa si trasforma, superando i limitati confini della devozione di quartiere: la “rivalità” fra i vari santi di Palermo, invocati di volta in volta all’arrivo di ogni nuova pestilenza, carestia o guerra, scompare per lasciare spazio alla fede unanime in S. Rosalia.
Il volume di Bresc costituisce una vastissima, meticolosa, esaustiva ricostruzione: l’indagine su Palermo non si ferma all’incontestabilità dei dati forniti dai documenti ufficiali – contratti di vendita e di locazione, verbali di appalti, registri doganali –, ma scende più in profondità e più “nel cuore”, direttamente nelle strade dell’antica città, portando alla luce piccole baruffe da cortile, traffici sottobanco da lupanare, tacite regole di convivenza di quartiere, restituendo pagina dopo pagina il mosaico, variegato e quanto mai vivido, di una Palermo medievale, remotissima, eppure dall’atmosfera assolutamente riconoscibile. L’apparato di note, estremamente curato, e le immagini e le mappe che fanno da corredo all’opera costituiscono un’ulteriore conferma della validità del lavoro.

Maria Laura Capobianco

(direfarescrivere, anno IX, n. 94, ottobre 2013)
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