In che modo e in quale misura la presenza femminile nella cinematografia italiana ha contribuito alla formazione e al cambiamento di tradizioni, norme e gusti di questa forma d’arte? Se lo sono chiesti diversi studiosi in occasione di un convegno all’Università di Sassari nel settembre del 2011, durante il quale
si è tracciato un percorso su un cinema realizzato, scritto e concepito da autrici che da sempre hanno lavorato alla produzione filmica senza che il loro contributo fosse pienamente riconosciuto. Il volume nato in seguito a queste due giornate di riflessioni promosse dal Dipartimento di Teorie e Ricerche dei sistemi culturali della Facoltà di Lettere e Filosofia è Cinema e scritture femminili. Letterate italiane fra la pagina e lo schermo Iacobelli editore, pp. 240, € 14,90), a cura di Lucia Cardone e Sara Filippelli.
Il testo, una preziosa raccolta di saggi proposta da diverse autrici, si presenta come una lettura godibile e interessante anche per chi non è esperto del settore.
Donne che scrivono per il cinema
Sono molte le donne che hanno contribuito alla progettazione, alla realizzazione e alla pratica della scrittura filmica italiana, lasciando un’impronta nell’immaginario cinematografico, e non solo, del nostro paese. Giornaliste, romanziere “rosa” e scrittrici di vari generi letterari hanno svolto per anni un lavoro tenace destinato a restare nell’ombra, a non lasciare traccia.
Cristina Jandelli ci racconta di Annie Vivanti, celebre scrittrice e giornalista, e del suo personaggio Marion, che riassume in sé i tratti assolutamente anticonformistici e liberi dell’autrice: Marion nasce sulla carta e poi prenderà vita sullo schermo grazie alla personalità artistica di Francesca Bertini, che non tradirà la conturbante amenità del personaggio.
Micaela Veronesi dedica il proprio saggio a Renée Deliot, il cui merito principale sta nell’aver portato nella produzione cinematografica italiana temi e stili di respiro internazionale.
Maria Giovanna Piano esamina Cenere, l’unico e notissimo film interpretato da Eleonora Duse, alla luce dell’incontro fra l’attrice e Grazia Deledda. Il film non fu un successo ma mantiene un valore documentale sia per la presenza della Duse sia per il lavoro di adattamento cinematografico dell’opera narrativa della Deledda.
Alessandra Pigliaru esplora Un inverno freddissimo, il romanzo di Fausta Cialente ridotto a misura di schermo da Sandro Bolchi, che ne ha tratto lo sceneggiato Camilla. La trasparenza delle parole della Cialente risponde a un preciso obiettivo morale e politico: narrare la verità nelle pieghe che la storia lascia senza risposta. Sfortunatamente nella sceneggiatura «vengono epurati tutti gli elementi sensuali e di chiara denuncia rispetto al sistema della famiglia piccolo-borghese che resta un nido di malinconie e attese».
Lucia Carone ci parla dell’interesse di Alba de Céspedes, scrittrice cosmopolita, raffinata e anticonformista, per la produzione filmica e di come molti dei suoi adattamenti non abbiano visto la luce. Autrice di successo e riconosciuta protagonista della scena letteraria internazionale, de Céspedes sceneggiò con Alessandro Blasetti il suo bestseller Nessuno torna indietro, adattandolo alle esigenze dello schermo e dimostrandosi capace di negoziare con le necessità della produzione filmica. Collaborò, inoltre, in qualità di sceneggiatrice, con Michelangelo Antonioni.
Giuliana Ortu ed Emma Gobbato dedicano i loro scritti a Goliarda Sapienza, donna misteriosa e affascinante, letterata, attrice e sceneggiatrice, esaminando rispettivamente il suo contributo letterario e quello dietro la macchina da presa. Molti sono i film in cui si intravede in filigrana il suo intervento di sceneggiatrice e in cui ha ricoperto, senza mai essere accreditata, i ruoli più disparati.
Nadia Rondello e Laura Bocchidi hanno il merito di ricostruire la figura in bilico fra rotocalco e cinema di Luciana Peverelli: «Penna veloce e fecondissima della seconda metà del Novecento, che ha abitato con successo e discrezione la scena mediale italiana […] pubblicista, romanziera, direttora di riviste femminili, assidua osservatrice dello schermo e dei suoi protagonisti, Peverelli è stata anche sceneggiatrice cinematografica, mostrandosi capace e versatile nei mestieri della scrittura».
Mariagrazia Fanchi e Valentina Cucca analizzano le riviste popolari (in particolare due testate di area cattolica), dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’60, per comprendere l’orizzonte del desiderio e le aspettative delle autrici e delle lettrici rispetto al cinema.
Donne che scrivono con il cinema
Sara Filippelli, Chiara Tognolotti e Irene Strazzeri sottolineano il passaggio della donna da un ruolo in prevalenza passivo e dipendente dall’altrui volere al crescente raggiungimento di una maggiore autorevolezza. Sara Filippelli ci mostra come la donna si avvicina alla strumentazione cinematografica per poter raccontare se stessa, la propria vita e quella della propria famiglia. Attraverso l’obiettivo ripercorre la propria quotidianità in maniera spontanea e consapevole; nelle sue storie, raccontate in prima persona, la macchina da presa sostituisce la penna e le pellicole sono film-diari. La cinepresa diviene un’estensione del corpo, «la figura dello sguardo in camera come specchio dell’io, dove gli occhi dell’altro e dell’altra, sono rivolti a sé, lascia i segni del soggetto celato dietro l’obiettivo della macchina da presa: una donna e il suo desiderio di esprimersi e parlare di sé».
Chiara Tognolotti analizza La Signora di tutti di Max Ophüls, dove l’immagine femminile da soggetto si trasforma in oggetto di desiderio e di sguardo, finché non diviene idea astratta, senza corpo. Il corpo attraversa anche la riflessione di Irene Strazzeri, che rilegge per noi racconti uniti da un denominatore comune: il seno delle donne, qui simbolo di «tortura e oppressione maschile» ma anche «strumento di rivincita e offesa femminile».
Continua per la donna il lungo processo di riscatto dall’invisibilità: la donna deve e vuole, come recita Ida Travi in una sua bellissima poesia, fendere il buio, aprirsi un percorso, «sbucare dall’altra parte della sua intelligenza».
Elena Montemaggi
(direfarescrivere, anno IX, n. 92, agosto 2013)
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