Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
La figura del lettore che diventa critico,
protagonista in positivo o in negativo
di una continua rielaborazione del testo
Da edizioni Nottetempo, una raccolta di saggi sui “rischi”
che la lettura comporta a chi legge ma anche a chi scrive
di Angela Patrono
La lettura, che sia di romanzi, saggi o quotidiani, non è mai un atto passivo. Al contrario, è un’azione profondamente creativa, grazie al patto tacito – quasi una complice cooperazione – che il lettore stipula con l’autore: rievocare le descrizioni di luoghi, situazioni, personaggi reali o di fantasia, e arricchirle di particolari con l’immaginazione; prendere a cuore il testo al punto da ricavarne spunti di riflessione; partecipare a conversazioni o dibattiti sul libro con altri lettori. Il fervore letterario, infatti, è il primo mattone per elaborare un giudizio critico sull’opera. Leggere è un atto creativo che ha il potere di trasformare e plasmare la realtà, pertanto comporta vari “rischi”, tra cui lo sviluppo di una lucida coscienza letteraria. Lo sostiene Alfonso Berardinelli nella raccolta di saggi Leggere è un rischio (Nottetempo, pp. 72, € 6,00). L’opera si compone di quattro testi che l’autore, noto critico letterario e saggista, ha pubblicato su importanti testate giornalistiche tra cui Il Sole 24 ore e Il Foglio.

Da lettore a scrittore a critico
Con acume e profondità, Berardinelli passa in rassegna le sfide principali che attendono il popolo dei lettori. Un popolo minacciato da innumerevoli distrazioni, quali gli strumenti tecnologici, spesso chiassosi e petulanti antagonisti: nel primo saggio, I rischi della lettura, Berardinelli cita l’esempio magistrale di Italo Calvino, che in Se una notte d’inverno un viaggiatore invita a leggere nell’isolamento per sfuggire al vuoto martellante della televisione. Non meno ardimentosa la scelta di chi, per passione o emulazione dei grandi autori che l’hanno segnato, decide di diventare scrittore e correre a sua volta il rischio di essere letto. Ed essere criticato, nel bene e nel male. Sì, perché il libro di Berardinelli denuncia un certo atteggiamento ambivalente verso la critica letteraria: l’autore prova un mix di attrazione e repulsione verso la figura del critico, il cui giudizio può diventare un’ancora di salvezza come una mannaia inesorabile.

Un vademecum per gli aspiranti critici
Ma chi è il critico letterario? È una figura che non si limita a riassumere il contenuto del libro né tantomeno ad assecondare l’autore. È piuttosto un «iperlettore», un «lettore creativo» che, nonostante tutto, «deve anche restare semplice lettore, lettore senza difese, senza pinze, forbici e bisturi, lettore ricettivo che accetta i rischi della lettura».
Ciò rimanda al secondo saggio, Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico, in cui l’autore, riferendosi anche al proprio vissuto, afferma che l’essenza del critico bisogna averla dentro di sé, non tanto divorando libri e romanzi, ma «soprattutto perché l’ambiente, la famiglia, la scuola, il quartiere, i coetanei, gli adulti, i concittadini, i connazionali ci mettono a disagio». Berardinelli spiega al giovane aspirante critico come il senso di estraneità al mondo l’abbia spinto a leggere senza sosta, scoprendo autori per lui illuminanti, come Čechov e Leopardi. Il saggista non rinuncia alla soggettività, perché il lavoro onnicomprensivo del critico non deve tralasciare l’indagine psicologica: «Ci vuole attenzione al linguaggio e ci vuole immaginazione e curiosità per gli esseri umani. Non capirò mai un testo in se stesso, se non riesco a vedere mentalmente che individuo c’è dietro».
Tuttavia, per diventare critici letterari è necessaria un’abbondante dose di bibliofilia. Un rapporto a dir poco “carnale” con i libri che porta a desiderarli e pensarli in maniera ossessiva, un’attività che «si alimenta della conversazione» e che eleva la critica a «genere letterario». Il critico letterario, infatti, si distingue dallo studioso e dal semplice recensore per essere «un critico della vita attraverso la letteratura e un critico della letteratura attraverso la vita»: valutare quindi le rappresentazioni letterarie attraverso l’esperienza concreta. Mestiere non esente da rischi, quello del critico, il quale può essere frainteso o ammettere, all’occasione, il suo giudizio troppo affrettato su certe opere, ma anche giudicare il libro secondo i parametri erronei del gusto personale, trascurandone l’effettiva qualità.

Saper riconoscere la vera poesia
Proprio contro un eccessivo lassismo critico punta il dito Berardinelli nel terzo saggio I poeti e il rischio di essere letti, sostenendo che nel periodo attuale, la cosiddetta “postmodernità”, il termine “poesia” è fin troppo abusato. Poeti improvvisati proliferano in ogni dove, formando un magma incontrollato dove si rifugiano in un ermetismo senza sbocco e senza regole, rendendosi incomprensibili al pubblico, alla critica e forse perfino a se stessi. È necessario, quindi, correre il rischio di essere letti, capiti e sottoposti a un giudizio critico. Per questo Berardinelli, nel quarto saggio Caproni e il lettore impaziente, traccia un elogio di Giorgio Caproni, poeta che colpisce per la sua essenzialità: «In una lingua polisillabica come la nostra, Caproni sceglie istintivamente le parole più brevi e la sintassi più veloce». Berardinelli sceglie di pubblicare alcune poesie di Caproni per mettere in evidenza il «nichilismo ludico» del poeta che si avvale di «versi e strofe sempre sul limite dello sparire» mettendo in primo piano la metafora del viaggio come annullamento totale. Dati il minimo spreco di parole, il senso del tempo sospeso, la maestria nel condurre la ritmica poetica, Caproni riesce a conquistare anche il lettore più impaziente e distratto. Allo stesso modo anche il saggio di Berardinelli, incisivo ed efficace, riesce a fare luce sulla «natura composita, ibrida, camaleontica, mercuriale del critico», rivelandosi un prezioso strumento di riflessione letteraria.

Angela Patrono

(direfarescrivere, anno IX, n. 89, maggio 2013)
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