Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
Sopravvivere alla violenza più cruda:
viaggio nella capitale dell’illegalità
con un’opera scritta a quattro mani
Amedeo Letizia si racconta: sullo sfondo di Casal di Principe,
un’intensa storia di riscatto dalla malavita. Da Minimum fax
di Francesca Ielpo
Casal di Principe: una città, un’accezione. Lo stesso nome è l’emblema della camorra. Casal di Principe, detta anche Casale, situata in provincia di Caserta, ha radici nell’illegalità. L’illegalità non è un particolare contesto o sfondo sociale. L’illegalità è, a Casal di Principe, l’organo vitale di un sistema organizzativo che non respira e si chiude nella morte come fosse semplice tradizione. Questo, in buona sostanza, è il preambolo di Nato a Casal di Principe. Una storia in sospeso (Minimum fax, pp. 176, € 12,00). Scritto a più mani da Amedeo Letizia, attore e produttore televisivo, e Paola Zanuttini, inviata delVenerdì de la Repubblica, è il racconto autobiografico dell’artista, che si avvale dell’aiuto della giornalista per narrarsi nel modo più limpido possibile. Così si passa dai lunghi dialoghi del protagonista alla descrizione della coautrice. Un’alternanza che permette al lettore di non staccarsi dalla scena neanche per un attimo. Più punti di vista portano a un’immersione totale negli accadimenti: si legge, si ascolta, ci si impossessa di un’ottica narrativa ed emozionale e si prosegue attentamente per non lasciarsi sfuggire nemmeno una considerazione da una delle due parti.

Lo specchio criminale
Eppure la collaborazione tra i due comporta delle difficoltà. Spesso Amedeo non è soddisfatto del tono di scrittura di Paola, più distaccata e oggettiva, più cinica e meno clemente. Scrive la giornalista: «Faccio a pugni con i suoi pensieri, perché non l’ho mai visto uno che riesce a essere così lucido e insieme così infognato nelle storie che ha vissuto»; o ancora: «C’è stato un titanico scontro di potere fra chi aveva la storia e chi la dipanava. Chi contava di più? Il conflitto non era così meschino. Il problema era la trasfigurazione: in questo libro c’è la sua voce, ma c’è anche la mia. Che un sacco di volte gli è risultata sgradevole: si guardava allo specchio, non si piaceva e se la prendeva con me, come se lo avessi illuminato con quelle luci devastanti di certi camerini di prova che ti fanno uscire dal negozio incazzato col mondo». Il vedere annotare avvenimenti della propria vita su fogli bianchi come se fossero impegni da non dimenticare non può provocare sensazioni oggettivamente normali e comprensibili. Destabilizza, ma Amedeo è forte. Casal di Principe è un’ottima palestra. Qui vi trascorre l’infanzia e l’adolescenza, circondato da clan malavitosi. La violenza è un atto quotidiano, la vita di strada non prevede litigi tra scorribande, ma sparatorie tra gruppi camorristici diversi. Amedeo vi è dentro, ma è distaccato dal fango più nero. La famiglia – il padre è un ricco imprenditore che si fa rispettare “onestamente” e la madre è un’ultracattolica con un integerrimo senso del pudore e di bontà – gli permette di comprendere la necessità di un precoce distacco da Casale. Una città ragnatela, i cui fili gli impediscono di correre altrove. Non a caso Paolo e Leonardo, fratelli del protagonista, sono ragni che vivono e muoiono su quella tela. Il primo per uno strano incidente stradale, l’altro perché misteriosamente sparito.
Amedeo si trasferisce a Roma per partecipare a un fotoromanzo (da qui comincia la sua carriera come attore e poi come produttore televisivo). Nella Capitale tende a riversare tutta la sua nevrastenia, dovuta a una rabbia repressa che non riesce a tramutare in nient’altro se non in urla e pugni, e a un eterno senso di colpa per essersi allontanato dalla sua città natia, senza capire troppo le cause dei misfatti subiti (perché Paolo è scomparso? perché Leonardo è morto?). Dice l’attore: «Lentamente, mi sono incivilito e ho addomesticato il Minotauro. So che è ancora lì, però mansueto. I primi tempi non riuscivo sempre a tenerlo a bada, ogni tanto si scatenava e perdevo il controllo. Ora credo di esserne capace. Almeno spero. Credo che c’entri anche l’età». Casal di Principe, invece, è un concentrato di furore che non conosce tempo. Casal di Principe è l’immagine che Amedeo vede riflettersi nella propria quotidianità. È l’immagine di un’esistenza cruda, che combatte alla stregua di una vita assicurata da sani affetti e abitudini.
La dolcezza si dipana con la descrizione della madre, della moglie. Figure che hanno fatto del protagonista un uomo che sa e deve sopravvivere al di là della selvaggina casertana. Piccole eroine che, involontariamente o meno, dal principio allontanano Amedeo dalla malavita.

Un’inchiesta narrativa
Descrizioni, racconti di avvenimenti e interviste fanno di questo libro un’inchiesta, un’inchiesta più che romanzata, narrativa. Si lascia spazio a emozioni, annotazioni, letterarie e metaletterarie (nel momento in cui Paola Zanuttini riflette sulla difficoltà di trascrivere la storia dell’intervistato). La giornalista si lascia tentare da considerazioni grandi e sconfinate: va oltre Casal di Principe, la stessa descritta violentemente da Gomorra, e nel suo divagare si trova immersa in un Sud che è terribilmente contraddittorio: vi scorge un’umanità sconcertante e regole selvagge, un «incanto».
È ben consapevole delle tremende conseguenze socioesistenziali dell’essere nativi di Casal di Principe. Fare i conti con esse significa toccare con mano la criminalità: «Il folk di Casale è da codice penale o, quantomeno, da assistente sociale di lungo corso, se non da psichiatra». La criminalità deforma menti, uccide corpi, sospende vite. E allora Amedeo Letizia e Paola Zanuttini, attraverso questo libro, imprimono testimonianze, immortalano la vita interrotta a metà di Paolo, si allontanano dalla figura mediatizzata di Casale, rivelandone anche i particolari più stranamente umani.

Francesca Ielpo

(direfarescrivere, anno IX, n. 88, aprile 2013)
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