Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
Roberto Paterlini, giovane rivelazione,
vede nella scrittura il vero strumento
per emozionare e affascinare i lettori
«Il vero premio è stato lavorare con editor professionisti»
dichiara nell’intervista il vincitore del concorso Rai “La Giara”
di Federica Lento
Uscire dall’anonimato, realizzarsi come scrittori e far conoscere il proprio talento è sempre un percorso a ostacoli per un autore emergente. Dopo il successo della prima edizione, la Rai ha riproposto il concorso letterario “La Giara” proprio con l’obbiettivo di scovare giovani narratori italiani, al di fuori delle sedi e dei circuiti culturali tradizionali.
Abbiamo intervistato Roberto Paterlini, promettente scrittore vincitore della prima edizione del premio, per avere una testimonianza diretta di ciò che è successo dopo il riconoscimento ma, soprattutto, per scoprire gioie, dolori, speranze e ispirazioni di un autore che coltiva la passione per la scrittura fin dall’adolescenza. Un romanziere fortemente ispirato da Pier Vittorio Tondelli, precursore della scena letteraria pulp e dei “cannibali”; caratterizzato da uno stile moderno, veloce, che non si nasconde dietro false inibizioni, Roberto Paterlini è attento ai dettagli e alla scrittura in ogni sua forma, dalla prosa alla sceneggiatura, è curioso e fortemente motivato dal sano bisogno di scrivere per perdersi e ritrovarsi nell’espressione del “sé”. Trentuno anni, bresciano, discreto ma disponibile a dialogare (ci chiede di darci del “tu”), come in una chiacchierata tra amici che prendono un caffè, di letteratura ma nel modo più alto, semplice e pulito, lontano da atteggiamenti altezzosi da grandi intellettuali. E tra uno scambio di battute e l’altro, ci anticipa la realizzazione di un nuovo romanzo, il terzo dopo Cani randagi, con cui ha vinto “La Giara”, e Il ventiquattrenne più vecchio del mondo. Un autore che Dacia Maraini – durante una presentazione di Cani randagi – ha definito, e con enfasi, “un vero scrittore”.

Quando hai cominciato a scrivere?
Ho iniziato alle superiori, quando avevo quindici, sedici anni.

Cosa ti spinge a farlo?
Mi piace costruire storie e intrecci, svilupparli, capirne le conseguenze, approfondire il carattere dei personaggi. Quando scrivo perdo la cognizione del tempo e alla fine mi sento appagato come non mi capita con nient’altro. Credo sia questo che mi spinge a farlo.

Hai un messaggio che vuoi comunicare, ad esempio, con Cani randagi?
Se devo essere sincero, no. La mia idea è che la letteratura debba innanzitutto intrattenere ed emozionare. Credo che chi legge – o guarda un film – cerchi questi due elementi e sia spinto dalla curiosità di vedere cosa succede e come andrà a finire. Da scrittore – in senso lato – è ciò che anch’io cerco. Se con Cani randagi riuscirò a emozionare e appassionare, sarò più che felice.

La tua scrittura sembra essere impregnata di contrasti, vecchi e giovani (per citare Pirandello, autore classico che, oltre a portarti fortuna al concorso, presta il titolo di una sua novella al premio che ti ha visto vincitore nella sua città natale), di esperimenti di amore e morte, istinto e letteratura. C’è un filo conduttore che ti guida, che segui, nella tua scrittura?
Ci sono delle idee che, a distanza di anni, continuano a frullarmi in testa: che passato, presente e futuro siano davvero collegati, che le persone si sfiorino senza rendersene conto e vivano esperienze molto simili in modi molto diversi, che gli oggetti abbiano una vita… Il tempo e il rapporto con il tempo sono aspetti secondo me molto interessanti che torneranno anche nel mio terzo romanzo.

In Cani randagi c’è l’elemento del tempo che “passa ma non passa”, tre generazioni, cioè, che si ritrovano con qualcosa che le accomuna. Sembra che nella tua scrittura ci sia anche una sorta di sfida alla routine, alle convenzioni sociali. Credi che il tempo, la vita, la società possano determinarci come persone?
Inevitabilmente ci determinano almeno un po’, o almeno determinano la maggior parte delle persone. Poi ci sono i rivoluzionari, che si ribellano al proprio tempo e magari riescono a cambiarlo, o che quantomeno se ne fregano… Ma per definizione i rivoluzionari sono pochi.

Hai uno stile descrittivo moderno, veloce, che cattura, privo di inibizioni. Ci sembra, inoltre, che tu sia un appassionato di cinema e di musica. Ci parleresti un po’ dei tuoi gusti cinematografici e musicali? Cosa ti ispira quando scrivi?
Anche nella musica, e soprattutto nel cinema, la scrittura è un fattore decisivo nelle mie scelte. Lo sceneggiatore di un film è per me importante almeno quanto il regista. Ammiro in particolar modo i film “di scrittura” come quelli di Woody Allen, di Billy Wilder… Anche molte serie tv, che negli ultimi anni hanno offerto grandi esempi di scrittura. Di musica capisco meno – ammesso e non concesso che ne capisca di cinema e tv – e spazio molto. Ho grande ammirazione, e invidia, per chi riesce a raccontare una storia nei pochi minuti di una canzone, come Bob Dylan. Tutte queste cose mi ispirano… e tante altre.

Cosa ti ha spinto a partecipare al concorso “La Giara”?
Mi entusiasmava l’idea che in caso di vittoria non mi sarei dovuto cercare un editore… E, più seriamente, l’opportunità di avere visibilità per il mio romanzo.

Le tue impressioni, paure, speranze, durante il “percorso” che ti ha portato a vincere il primo premio?
Devo dire di non aver pensato molto a “La Giara” sino a quando non ho saputo di essere nei primi tre della mia regione. Poi è stato inevitabile. Avevo timore che la tematica del mio romanzo potesse penalizzarmi, ma in ogni caso non riuscivo ad avere un’idea precisa delle mie effettive possibilità di vincere. Non avendo letto gli altri romanzi, non avevo termini di paragone. Naturalmente ero anche terrorizzato all’idea di dover parlare in pubblico in caso di vittoria. Come credo si sia visto, non sono proprio un animale da palcoscenico…

Quando hai realizzato di aver vinto, qual è stata la prima cosa che hai pensato?
L’ho pienamente realizzato, credo, qualche settimana dopo, e ho pensato che fosse stato davvero assurdo essere stato scelto tra oltre 1.100 romanzi. Proprio io! Ho pensato a cosa dovesse aver provato il vincitore de “La Giara” e, quando mi sono ricordato di essere io, mi è sembrato incredibile, nel vero senso della parola. Non per una questione di merito, ma di probabilità e difficoltà, dopo tutte quelle selezioni…

Hai dedicato il premio a qualcuno?
Era l’unica frase che mi ero preparato in caso di vittoria: «Dedico questo premio a Pier Vittorio Tondelli». Michele Cucuzza mi ha chiesto un’altra cosa, chi mi avesse ispirato, e io ho fatto comunque il suo nome. Mi ha molto ispirato in effetti, fin da ragazzino, e a lui oggi, molto umilmente, dedico anche il mio premio.

Dacia Maraini, in qualità di presidente della giuria che ha scelto di premiare il tuo romanzo, ha detto che il tuo testo è stato apprezzato perché ben scritto e coraggioso poiché affronta il tema dell’omosessualità, un tema delicato e spesso ancora censurato. Cosa pensi, bando alla modestia, delle motivazioni della giuria?
Lungi da me contraddire Dacia Maraini o il resto della commissione, ma dopo la premiazione mi era rimasta nelle orecchie questa parola, “coraggioso”, e mi sono chiesto: «Roberto, sei stato coraggioso?». Io, devo dire, non mi ci sono sentito. Loro, forse, sono stati coraggiosi a scegliere me! Io ho cercato di essere onesto e mi sono impegnato per fare del mio meglio. Bando alla modestia, mi fa sempre piacere quando qualcuno dice che scrivo bene, perché credo che sia sempre la qualità della scrittura a fare la differenza. Un’ultima cosa: il tema del mio libro non è l’omosessualità. I personaggi sono omosessuali e alcune delle vicende, storicamente, hanno riguardato gli omosessuali, ma i temi, credo, sono altri. Purtroppo però, da noi, la presenza di un personaggio o di più personaggi omosessuali trasforma qualsiasi romanzo in un romanzo sull’omosessualità…

Cosa è cambiato nella tua vita personale e di scrittore, dopo la vittoria?
È forse leggermente cambiata la percezione di alcune persone nei miei confronti e nei confronti di ciò che faccio. Per me è stato un enorme incoraggiamento, e da quel giorno sto scrivendo tutti i giorni. Mi ha stimolato a impegnarmi ancora di più!

Cosa è successo praticamente dopo aver vinto? Insomma, raccontaci un po’ il dietro le quinte.
Dopo la vittoria ci sono stati molti complimenti, molte fotografie. Qualche indiscrezione, una notte insonne, un lunghissimo viaggio di ritorno, un giorno di “depressione post parto”, altri complimenti, festeggiamenti, cene… Ma soprattutto c’è stato l’editing di Cani randagi con la collaborazione di professionisti straordinari, che sono anche delle persone straordinarie, e che mi hanno insegnato tantissimo. Il vero premio è stato lavorare con loro!

Per finire, hai un consiglio e un augurio per i prossimi partecipanti al Premio “La Giara”?
Per quanto ho potuto capire parlando con diverse persone che hanno lavorato a “La Giara”, il consiglio è quello di essere ambiziosi, presentare storie interessanti e affrontarle con originalità e creatività, ma non essere mai presuntuosi in nessuno di questi passaggi. Dal momento che non posso augurare a tutti di vincere, il mio auspicio per quelli che non ce la faranno è di non farsi avvelenare il sangue.

Federica Lento

(direfarescrivere, anno VIII, n. 84, dicembre 2012)
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