Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
È la tv a mutare la società o viceversa?
La storia e le metamorfosi degli Usa
viste attraverso il piccolo schermo
Da Sovera edizioni, un’analisi dei serial televisivi americani:
mezzi d’influenza sì, ma soprattutto specchi generazionali
di Sara Moretti
È il 1973 quando la Lucasfilm, in collaborazione con Francis Ford Coppola, porta sul grande schermo American Graffiti. Diretto da George Lucas e interpretato tra gli altri da Richard Dreyfuss, Harrison Ford e Ron Howard, il film racconta l’ultima notte da liceali di un gruppo di quattro amici. È l’estate del 1962: pochi mesi dopo, l’attentato a Kennedy, l’inizio della guerra nel Vietnam e il definitivo abbattimento dell’American Dream. Una commedia sull’adolescenza, esplicitamente rivolta agli adolescenti, e che, dietro l’apparente spensieratezza, tratta il tema dell’iniziazione alla vita adulta, con i suoi turbamenti e le sue inquietudini. Un film culto permeato di romanticismo e allo stesso tempo di nostalgia che darà il via al filone sull’adolescenza e sulle illusioni perdute.
Si parte da qui, dal titolo di questo interessante saggio sviluppato da Giampiero Francesca, critico cinematografico radio-televisivo, per capire il terreno di analisi: il mondo degli adolescenti, la società che sta loro intorno e le dinamiche del cambiamento. Il tutto attraverso le serie televisive americane.

Le serie televisive come specchio dei cambiamenti della società
«Quantificare in modo concreto quanto la televisione influenzi la nostra società è comunque impresa impossibile». Questa una delle prime osservazioni che troviamo nella parte introduttiva ad American Graffiti. Questo sì non è un paese per vecchi (Sovera edizioni, pp. 128, € 15,00): come misurare il potere dei media, più nello specifico delle serie televisive americane? Impresa piuttosto difficile. Certo è che la storia di un paese può e deve essere letta anche attraverso la sua televisione perché, comunque la si pensi, le scelte di produzione non sono mai casuali.
L’autore cerca di portare alla luce le dinamiche che hanno condizionato, e continuano a condizionare, la messa in onda di molte serie tv, tra tutte i cosiddetti teen drama. Per chi è stato teenager negli anni Novanta, leggere questo libro è un vero e proprio tuffo nel passato, in pomeriggi sospesi nell’attesa morbosa che la tv generalista lanciasse la sigla di Beverly Hills 90210. La famiglia Walsh resterà per sempre nel cuore di chi, adolescente ormai adulto, ha potuto vivere sullo schermo il ritorno di quell’American Dream che la storia degli anni precedenti aveva cancellato. La famiglia come punto di partenza e allo stesso tempo come trampolino di lancio per farsi da sé, per crescere con dei valori sani, per essere indirizzati sulla giusta via. Il lavoro come parte fondamentale della vita, gli amici insieme ai quali condividere il bello e il brutto dell’adolescenza. Una serie tv decisamente “confortante” e ottimista, amata e seguita da un pubblico bisognoso di tale messaggio.
Nel corso del suo saggio l’autore si sofferma soprattutto sul teen drama perché, meglio di qualsiasi altro prodotto audiovisivo, sa rivolgersi ai giovani, parla ad adolescenti che «pur permeati dai dettami socio-culturali della propria epoca, sono endemicamente portatori di mutamento, anticipatori delle nuove mode, tendenze e costumi. Proprio per questo, molti teen-drama hanno saputo raccontare, fra le righe di semplici storie di liceo, le trasformazioni della società».
Francesca analizza in un centinaio di pagine gli sconvolgimenti maggiori che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia degli Stati Uniti d’America negli ultimi trent’anni e riflette su come la televisione sia stata spesso lo specchio di quella stessa storia e anche di come il pubblico sia cambiato, sia diventato più maturo e di conseguenza più esigente.
Un caso su tutti: Lost, una serie durata sei anni (2004 - 2010) che ha saputo calamitare l’attenzione su di sé nonostante la complessità dell’intreccio narrativo. In questi anni molte emittenti televisive hanno avuto la capacità di innovare, di cambiare le idee e i canoni della televisione classica senza comunque perdere di vista il proprio pubblico; in questo la Abc ha decisamente sbaragliato la concorrenza puntando su un serial come Lost. «La serie della ABC rappresenta forse la più audace sperimentazione televisiva mai vista fin ora sui piccoli schermi. Una sperimentazione che conta appunto sulla capacità ormai raggiunta dal pubblico di seguire intrecci sempre più complessi e intricati, di decifrare complicati codici narrativi, di ricostruire un puzzle di personaggi e avvenimenti apparentemente caotici e disorganici».
L’evoluzione dell’audience da un lato e il cambiamento della società dall’altro, questi i due punti fondamentali su cui si sviluppa questo scritto dedicato al pubblico televisivo che si fa telespettatore della società stessa in cui vive.

Da Ronald Reagan a Barack Obama
Il testo di Francesca segue un andamento lineare e preciso. L’autore ci parla degli Stati Uniti attraverso le figure che più di qualsiasi altra cosa, dagli anni Ottanta a oggi, ne hanno determinato le sorti, le cadute e le riprese, gli sbagli e il tentativo di cancellare quegli stessi errori: Ronald Reagan, George Bush Senior, Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama. In questo excursus storico non mancano i continui riferimenti ai prodotti televisivi, a come abbiano segnato “socialmente” le epoche, da E.R. a Dexter, per capire come il pubblico sia influenzato da quello che guarda e come, viceversa, le necessità del pubblico moderno siano il punto di partenza per ogni serie tv.
Un esempio indicativo in tal senso è sicuramente Dexter, in onda dal 2006. Si tratta di un personaggio timido e riservato che, dietro la facciata di ematologo della polizia di Miami, cela un’anima sanguinaria e violenta. È interessante notare come, nonostante gli atti di barbarie compiuti dal protagonista, il pubblico vi si identifichi e veda in questo antieroe del ventunesimo secolo un vero e proprio salvatore. Come analizzato dall’autore, Dexter riempie il bisogno di sicurezza e giustizia del pubblico, incarna forse i suoi desideri impronunciabili. Non a caso allo spettatore non è mai dato modo di guardare come il protagonista dilania e tortura le sue vittime, «solo il sangue, simbolo di tutta la serie, macchia il corpo e il viso di Dexter. Un simbolo che rassicura il pubblico, certo dell’avvenuta vendetta, senza però mostrare la brutalità dell’atto compiuto». Questa serie incarna più di altre il bisogno, post 11 settembre, di ordine, controllo e vendetta. Gli attentati alle Torri Gemelle hanno provocato caos e insicurezza, Dexter è il simbolo di quella giustizia tanto cercata dopo i tristi avvenimenti del 2001.
Gli spunti di riflessione sono davvero molteplici e le serie trattate innumerevoli. Tornando ai teen drama, Francesca propone una comparazione tra gli anni Novanta e oggi. Beverly Hills 90210 vs The O.C.; si tratta dello stesso prodotto per quanto riguarda le linee guida e cioè a chi si rivolge, di chi parla e dove si svolge, ma le differenze sono sostanziali e non possono non essere attribuite al periodo storico di appartenenza. «Ogni epoca ha la sua televisione, ogni momento storico le sue paure e necessità. Partendo da questo presupposto si può guardare alla tv come a uno specchio che riflette e anticipa la realtà».
Per quanto riguarda The O.C. è chiara la differenza tra l’America degli anni Novanta e quella post 11 settembre. La serie presenta, sulla carta, lo stesso punto di partenza di Beverly Hills 90210: Los Angeles, simbolo del successo e della ricchezza, e nove protagonisti adolescenti. In realtà si tratta di «immagini apparentemente speculari ma che nascondono al loro interno i tratti distintivi di due società radicalmente diverse». Tutto ciò è addirittura visibile fin dalle locandine, che presentano volti, colori e parvenze diametralmente opposti. Da un lato la serenità, i sorrisi, il colore, dall’altro facce scure, disilluse e diffidenti. «Chiuso nel suo giubbotto nero, con le mani giunte e il volto teso in segno di sfida, Ryan incarna infatti tutte le paure e le insicurezze di un’America ferita. Un’America “Marte” come l’ha definita Robert Kagan, che, proprio come un animale ferito, ha reagito agli attentati dell’11/09 arruffando il pelo e gonfiando il petto, per far paura a chi, per prima, l’ha impaurita. Allo stesso modo Ryan, carattere diffidente e sospettoso di natura, mostra i muscoli e fissa, con sguardo cupo, il futuro ormai non più certo».
Non solo The O.C. mostra i segni di un’America profondamente ferita e spaventata, l’allora governo neoconservatore puntò proprio su queste paure ed è noto come i mass media fossero uno dei principali bersagli dell’operato di George W. Bush. Serie come Veronica Mars e Smallville ne sono un altro chiaro esempio.
L’ultimo capitolo è dedicato all’America di Barack Obama con i suoi sogni e le sue speranze. Come mostrato nella serie di maggior successo del periodo, Glee, si tratta di un’America nuova che crede nel cambiamento come affermato dallo stesso presidente: «Bisogna avere l’audacia di credere, nonostante tutte le prove contrarie, che si può ricostruire un senso della comunità in una nazione lacerata dal conflitto, l’impudenza di credere che nonostante tutte le avversità personali, la perdita del lavoro, o una malattia in famiglia o un’infanzia circondata dalla povertà, abbiamo un certo controllo e, pertanto una certa responsabilità, sul nostro destino».
La bravura dell’autore sta nel mostrare il lato interessante della televisione. Non semplice contenitore di prodotti più o meno belli ma soprattutto riflesso di quello che siamo e che vorremmo essere. Ne risulta un’opera ben scritta e ben pensata, una lettura decisamente consigliata agli amanti e non delle serie tv.

Sara Moretti

(direfarescrivere, anno VIII, n. 83, novembre 2012)
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