Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
La cultura, probabilmente
La triste storia di Jerry, rifugiato politico
in Italia, divenuta emblema del razzismo
e della violenza ancora forte nella società
Il racconto di una morte innocente, e l’attenzione su una realtà
quotidiana di ingiuste, soprusi e sfruttamento. Edito da Besa
di Francesca Molinaro
«È veramente troppo tardi quando, nella notte di quel tragico 24 agosto ’89, in un casolare abbandonato alla periferia di Villa Literno, durante l’ennesima rapina ai danni dei braccianti africani, viene brutalmente trucidato il giovane sudafricano Jerry Essan Masslo». È con queste semplici, ma tragiche, parole che Giulio Di Luzio, giornalista e scrittore impegnato nella lotta per i diritti degli immigrati, apre uno dei tristi capitoli del suo libro A un passo dal sogno. Gli avvenimenti che hanno cambiato la storia dell’immigrazione in Italia (Besa Editrice, pp. 166, € 12,00).
Il racconto di Di Luzio ha inizio negli anni Ottanta, anni in cui la lotta per i diritti degli immigrati era solo una delle tante promesse delle campagne elettorali, ma in realtà una corsa contro i mulini a vento. La morte di un giovane sudafricano, rifugiato politico riconosciuto dall’Alto commissariato dell’Onu, a scuotere le coscienze italiane… a partire da un piccolo paesino in provincia di Caserta: Villa Literno. È proprio lì che ogni anno, soprattutto in estate, si riunivano migliaia di braccianti neri per essere crudelmente sfruttati nei lavori agricoli, lavorando anche 15 ore al giorno e sognando una sola cosa: la libertà. Ed è sempre in quel paese, interrato dalle radici della camorra, che il giovane Jerry Masslo perderà la vita, non sapendo che il suo sacrificio cambierà tante cose.

Arrivano gli immigrati in Italia e cresce l’intolleranza
È verso la metà degli anni Ottanta che l’Italia comincia a diventare sempre più una meta fissa per migliaia di immigrati, di persone di etnie diverse che fuggono per svariati motivi dai loro paesi, in cerca di una speranza. In quel periodo la Francia e la Germania limitano notevolmente l’ingresso di immigrati, soprattutto clandestini, e l’Italia, in particolar modo quella Meridionale, diventa un punto di riferimento importante per questi ultimi. «Al dicembre ’88 risultano seicentomila gli immigrati censiti dal Viminale in possesso di permesso di soggiorno, ma il dato ne trascura altrettanti irregolari. Ogni etnia prenderà un posto in uno spicchio ben definito del Paese, i nordafricani, dice l’ISPES, in Sicilia, le capoverdiane, gli etiopi e i somali a Roma, i senegalesi nelle zone industrializzate del nord, soprattutto nel bresciano».
Ma nonostante l’afflusso in queste grandi città e regioni, sarà un piccolo paesino, Villa Literno, che cambierà “le regole di un triste gioco”. Le persone che vi abitano e la situazione socio-economica, non sono certo le migliori per accogliere un’ondata di nord africani in cerca sì di lavoro, ma anche di una esistenza “vivibile”. Villa Literno vive prevalentemente di agricoltura ma, anche se il lavoro è tanto, i braccianti italiani che hanno voglia di farlo sono veramente pochi. Tanto “oro rosso”, ovvero i campi di pomodoro finanziati dall’Aima e regolamentati dalla Cee, ma poche persone disposte a piegarsi in due per raccoglierlo. È per questo motivo che si inizia a guardare con occhi diversi gli immigrati africani, loro sono disposti a lavorare tanto e a prendere poco, e diventano presto ambite prede per i proprietari terrieri… in fondo costano solo 50 lire l’ora! Ben presto le voci corrono, fra i campi, fra gli agricoltori, fino ad arrivare alle orecchi di chi “organizza” i viaggi della speranza.
Nulla da meravigliarsi se molti immigrati arrivano in Italia con un bigliettino con su scritto “Villa Literno”. Il fatto che la camorra regni sovrana in quelle zone favorisce di sicuro questo mercato di lavoro illecito. Ma le condizioni lavorative, igieniche e soprattutto la sicurezza per queste persone, non sono di certo le migliori. Lavorano anche 15 ore al giorno e poi vengono ammassati in baracche sporche, senza servizi igienici o acqua corrente.
In tutta Italia, intanto, l’ondata di follia e repulsione verso gli extracomunitari cresce a dismisura, e tragici eventi si susseguono uno dietro l’altro. Dall’aggressione alla poliziotta somala Dacia Valent, alle sessanta coltellate inferte a suo fratello qualche anno prima; il pestaggio a sangue del somalo Osman Ibrahim da parte di alcuni ragazzi e anche quello del senegalese Paap Khouma da parte della polizia italiana (a Milano!). Gli eventi sono tanti sia al nord che al sud e la situazione sfugge totalmente al controllo dello stato e dei cittadini italiani. Sarà un giovane sudafricano, Jerry Masslo, che involontariamente e a costo della vita, tirerà bruscamente il freno a mano di questa giostra impazzita.

Con la morte di Jerry la xenofobia italiana trapela in Europa
È una mite notte del 24 agosto 1989 quella in cui Masslo perderà la vita e «segnerà il punto di non ritorno nella vicenda immigratoria italiana». Quattro “bravi” ragazzi del luogo irrompono nelle baracche in cui Jerry e i suoi compagni stanno riposando prima di ricominciare un’estenuante giornata nei campi. Arrivano armati e vogliono derubare gli extracomunitari dei pochi risparmi guadagnati durante l’estate. Molti sono terrorizzati e cedono subito il denaro, altri, come Jerry, si chiedono il perché di questo folle gesto. Perché devono vedersi portar via, in un attimo, il lavoro di mesi. È per questo che Jerry rimane in piedi davanti alle pistole degli aggressori, cercando una risposta a ciò che sta accadendo… ma l’unica cosa che riceverà saranno quattro colpi mortali nell’addome. Altri vengono feriti, subito soccorsi e portati in ospedale ma per Jerry è troppo tardi. Grande sarà lo stupore quando si verrà a sapere che lui non era un clandestino… ma un rifugiato politico.
È a questo punto che l’Italia rimane attonita e sembra accorgersi per la prima volta di ciò che sta accadendo. Le prime reazioni a questo gesto arrivano dai giornalisti del Gruppo di Fiesole, i quali chiedono alla Federazione nazionale della stampa e alla Fieg «una giornata nazionale di riflessione sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati». Già il giorno dopo quasi tutti gli immigrati sono fuggiti per la paura di essere uccisi senza motivo, proprio come è successo a Jerry. Per le strade alcuni carabinieri trovano dei volantini agghiaccianti per la loro crudeltà: «È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie […] e poiché scorazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini».
Il 29 agosto, però, molti immigrati escono con coraggio alla luce del sole per presenziare ai funerali di stato (richiesti dalla Cgil) di Jerry. Le televisioni di tutta Italia sono lì per riprendere l’evento, il Tg2 manderà la diretta, e verrà anche trasmessa in contemporanea l’intervista rilasciata da Jerry alla rubrica Nonsolonero, riproposta dall’autore in un intero capitolo.
A poco a poco la notizia dell’uccisione di un rifugiato politico in Italia trapelerà in tutta Europa e molte testate internazionali additeranno l’Italia come paese razzista. Nonostante ciò Villa Literno non farà nulla per assicurare i colpevoli alla giustizia, sono «“bravi figli di famiglia”» e quindi il caso viene presto archiviato per lasciar spazio a problemi idrici e comunali.

La risposta nazionale al primo sciopero “nero”
Per fortuna il resto del paese affronta diversamente la situazione ed è per questo che il 7 ottobre di quello stesso anno, viene indetta a Roma la prima manifestazione nazionale contro il razzismo. Anche il Pci si muoverà per frenare l’onda antisemita e un po’ in tutta Italia si avvieranno iniziative a favore degli extracomunitari. Purtroppo saranno troppo sporadiche e mal coordinate per poter portare dei reali cambiamenti sociali nei loro confronti . Proprio per questo saranno gli immigrati stessi ad alzarsi e a scuotere l’Italia, indicendo il 20 settembre 1989 «il primo sciopero organizzato, diretto e portato a termine da immigrati irregolari di colore. È il bracciantato nero a prendere la parola. È il primo sciopero nero nella storia del mondo del lavoro in Italia e in Europa».
L’anno dopo però, anche a causa della camorra, gli episodi di violenza e gli omicidi di poveri immigrati continueranno a susseguirsi nella provincia casertana. Sembra che nulla sia cambiato. È la Legge “Martelli” (numero 39 del 28 febbraio 1990) a dare il via a tutta una serie di normative che tenteranno di regolarizzare il flusso di immigrati in Italia, creando a volte più barriere di quanto ve ne fossero prima, passando dalla “Turco-Napolitano” alla “Bossi-Fini” del 2002.
Il libro di Di Luzio analizza con cura tutti gli eventi, le manifestazioni, i progetti organizzati dal 1989 in poi a favore di un’accoglienza più umana verso chi non è italiano ma ha comunque il diritto di vivere sereno. Tanti sono gli interventi interessanti che si susseguono nel testo, dalla Prefazione del missionario padre Alex Zanotelli a Raffaella Bolini (Presidenza Arci – Roma) ad Aniello Berillo (“Nero e non solo!” – Caserta) e Antonio Pizzicato (già segretario generale della Cgil). Ed è proprio con le parole di quest’ultimo che vorremmo chiudere: «Jerry aveva un sogno… un mondo senza odi e razzismo, di tolleranza e di pace, di libertà e di solidarietà. Un mondo dove l’uomo vale più di ogni altra cosa, dove la sua libertà è sacra… Per questo Jerry viveva, sperava e lottava […] Ma ora il sogno di Jerry appartiene a tutti gli uomini, bianchi o neri che si battono per una società libera da razzismi e odi».
Noi speriamo e lottiamo perché il sogno di Jerry diventi realtà.

Francesca Molinaro

(direfarescrivere, anno III, n. 18, 10 luglio 2007)
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