Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La cultura, probabilmente
I molteplici risvolti sociali,
tra punti di forza e punti deboli,
della questione femminile
Come destreggiarsi fra i falsi miti e le differenti ideologie
che si incontrano nell’analisi del movimento femminista
di Ivana Ferraro
La questione femminile è un tema assolutamente stringente. Su questa rivista ne abbiamo tracciato qualche aspetto (per leggere l’articolo clicca qui: http://www.bottegaeditoriale.it/lacultura.asp?id=239) mostrando come il ruolo sociale della donna porti con sé un carico di temi complessi, influenzati da numerosi fattori non solo culturali, ma anche storici, economici e politici.
In questo contributo si vuole mostrare come la problematica vada ben oltre. Essa, infatti, coinvolge sia la rappresentazione sociale del ruolo della donna, sia l’affermazione e l’emancipazione del proprio genere in ambito sociologico.

L’8 marzo: più opportuno commemorare che festeggiare
Intanto, si può partire dal mettere in risalto i tratti peculiari della Giornata internazionale della donna, una ricorrenza che si celebra l’8 marzo di ogni anno. Da questo punto di vista, che ci sia una data da ricordare per mettere in rilievo l’importanza del ruolo della donna in una determinata società piuttosto che in un’altra, potrebbe essere condivisibile o meno anche perché si potrebbe quasi sempre essere pronti a dare spazi a manifestazioni che vanno dal puro meccanismo di marketing, al frantumato e ossessivo pour parler, il chiacchiericcio, per ne rien dire, per non dire nulla.
Stante all’evento storico a cui la data dell’8 marzo ci riconduce, sarebbe più opportuno commemorare che festeggiare, dal momento che lo stesso accadimento ci riporta alla memoria le tante operaie uccise per un incendio scoppiato in una fabbrica newyorkese, nei primi del Novecento e non proprio l’8 marzo ma il 25 marzo 1911, giorno in cui morirono 140 operai di cui solo 123 donne, ma di ciò non se ne parla.
Ben tuttavia, da tempi biblici, ed è il caso di risalire fino a questo periodo, la donna come essere vivente ha mantenuto dignitosamente la sua posizione di alterità rispetto all’altro sesso. La differenza esiste ma c’è chi la rimarca perché di fatto l’emancipazione non vorrebbe accettarla, anzi infastidirebbe.
Da un punto di vista storico, nell’immaginario comune ognuno potrebbe immaginarla come l’accudente di una domus pronta a essere madre, moglie, sorella, figlia, dea, faraona, martire, ma è altresì vero che la si può ricercare in tutte quelle che ne hanno determinato, a partire dagli inizi del XVIII secolo, l’incarnazione di tutte le eroine che hanno combattuto per ottenere dei diritti.
Ed è proprio dall’innesto tra la parte storica e la parte sociale che l’argomentazione sulla questione femminile diventa molto interessante.

La questione femminile è una questione sociale?
Agli albori del XIX secolo permanevano le fratture di classe, quelle civili e culturali, per cui fin dall'inizio la soluzione della “questione femminile” fu legata indissolubilmente alla soluzione della “questione sociale”. Infatti, poiché le discriminazioni non erano solamente di genere, ma anche sociali, le donne del ceto popolare erano quelle più escluse dalla vita pubblica.
Anna Maria Mozzoni, figura di rilievo nell’ambiente femminista tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, pubblicò, nel 1864, un proclama: La donna e i suoi rapporti sociali. Nei contenuti incitava le donne a protestare contro la loro condizione redigendo una lista in cui si elencavano i diritti che ogni donna poteva e doveva chiedere allo Stato: dal diritto all’istruzione, al diritto elettorale, a quello di parità tra marito e moglie, nonché diritto di separazione dei beni comuni e tantissimi altri ancora.
Dietro la concessione dei diritti per le donne, però, albergava anche molta demagogia politica. Per esempio, Victoria de Grazia ricorda in Storia delle donne nel regime fascista (Marsilio, pp. 576, € 24,00) che la socialista Anna Kuliscioff poneva il voto al centro della sua politica di partito, mentre il suo compagno, il riformista Filippo Turati, pensava che accettare una simile richiesta potesse essere dannoso per l’ottenimento del suffragio maschile.
Nel 1902 in Italia, con l’approvazione della legge Carcano, le donne finalmente raggiunsero due obiettivi: la giornata lavorativa doveva avere una durata massima di dodici ore e dopo il parto non avrebbero dovuto tornare a lavorare prima che fosse trascorso un mese.
L’ombra maschilista, purtroppo, stentava ad andare via. L’uomo non riconosceva alla donna gli stessi diritti di cui egli godeva, poiché la considerava inferiore; senza la parità ella non poteva, per esempio, guadagnare lo stesso stipendio e per questo era costretta a molte privazioni e non aveva la possibilità di coltivare le proprie passioni o realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni - vedi il caso della prima direttrice d’orchestra Antonia Brico da cui l’omonimo film La musica nelle vene del 2018.

L’evoluzione sociale del femminismo
Man mano che l’affermazione del ruolo sociale della donna diventa più evidente e incisivo – perché la stessa doveva avere il diritto all’istruzione, il diritto di voto, l’uguaglianza giuridica, il diritto a un’occupazione retribuita e la libera scelta dell’occupazione – l’emancipazione cresce e con essa certe forme stereotipate del passato, in parte, vengono abbandonate.
Con il saggio di Simone de Beauvoir Le deuxième sexe (Il secondo sesso) prende l’avvio un importante fenomeno di trazione intorno agli anni Sessanta del XX secolo, dapprima negli Stati Uniti, poi nel resto dei paesi occidentali. La scrittrice pone l’accento sull’inferiorità a cui la donna è condannata nella società, con l’obiettivo di rendere palesi tutti quei meccanismi che costringono alla subordinazione. Non solo, ma ciò che lo rende “rivoluzionario” sta nel fatto che la scrittrice affronti molti tabù della società, come il piacere sessuale e la libertà d’aborto, inquadrando il problema in maniera radicale.
Le premesse teoriche poste dal testo, inoltre, portano nuovamente al rinnovamento del concetto di donna: attraverso la rivendicazione del corpo come oggetto di piacere e non come macchina per procreare, si supera il legame del valore della donna alla capacità riproduttiva. La donna diventa allo stesso tempo più materiale, carnale, vera e meno astratta: «Ho valore perché esisto, perché sono una persona».
La donna inoltre ha possibilità di autodeterminazione sul proprio corpo e a questo corrispondono le battaglie per il divorzio e l’aborto. Quest’ultima sancisce pure una differenza rispetto a un recente passato in quanto stabilisce la discrepanza sul piano riproduttivo di uomo e donna, sottolineando come sia suo diritto scegliere in maniera esclusiva cosa fare.
Durante gli anni successivi assistiamo alla nascita del Femminismo nero, che confluisce in quello decoloniale, con la riflessione del collettivo Combahee River. Il collettivo mette in rilievo come le istanze portate avanti dai femminismi fino a quel momento, popolati soprattutto da donne bianche, abbiano tralasciato la condizione delle donne nere (e delle persone di colore o indigene).
Le problematiche riscontrate nei femminismi delle donne bianche derivano prevalentemente dall’assenza della volontà di interazione e confronto per capire le posizioni e le necessità delle donne nere. Inoltre, da questo, nasce uno spazio per discutere e mettere in relazione le problematiche sul razzismo e sul sessismo. Se fino a quel momento i due temi sono stati affrontati separatamente, il femminismo decoloniale si propone di discutere la loro interazione aprendo le porte al femminismo intersezionale.

Lo stato dell’arte nella contemporaneità
Infatti immediatamente dopo si promuove il sostegno alle lotte per i diritti delle minoranze etniche, della comunità Lgbt+, dei disabili per uno smantellamento delle strutture di potere che portano alla divisione e classificazione delle persone di tutto il mondo, in particolare delle donne. Quest’ultima riflessione è apposta in base all’ondata del femminismo decoloniale e la nascita del femminismo intersezionale.
Gli ultimi anni vedono la questione femminile a detrimento della donna e l’audace quanto scandalosa posizione del GamerGate ovvero l’instaurazione di una vera campagna d’odio ai danni delle donne nel settore videoludico; quest’ultimo ha prodotto riscontri preoccupanti come minacce di morte e stupro. Esso si pone come primo ed emblematico esempio delle dinamiche delle campagne di molestia sul Web, di cui il genere maschile ne dovrebbe avere la sola ed esclusiva “amministrazione”, ma non è così.
Da una banale fortuita storia di una blogger che si lascia andare su dei particolari di una propria relazione vissuta e terminata, l’immediata e volgare risposta da parte del suo ex, le cui illazioni spregiative e scandalose accompagnano tutta una serie di voci maschili generalizzate, al predominio incalzante in cui si sostiene l’idea malsana di non volere far entrare nel mondo videoludico la donna, già fortemente emancipata, perché secondo il loro “sentire maschilista” quel mondo è strettamente, esclusivamente e doverosamente maschile.
Tutto ciò è attualmente molto in voga e le piattaforme sociali che accompagnano questo fenomeno misogino e antropologicamente involutivo, purtroppo persistono.
Di contro, la campagna sociale proposta dall’Onu HeforShe – a cui aderiscono star come Emma Watson, attrice, e il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai – prevede il coinvolgimento di ragazzi e uomini nella lotta contro la discriminazione femminile.
Accanto a ciò, c’è da tenere in giusta considerazione anche il fenomeno delle persone transgender e la continua messa in discussione del concetto binario di genere.
A questo punto della discussione ci verrebbe da chiedere: «La questione femminile, dopo tutte queste estenuanti lotte, ha ancora un valore emancipato nel ruolo sociale che oggi riveste?». La risposta dovrebbe essere data dalla scienza che per antonomasia si occupa dello studio dei fenomeni sociali: la sociologia. Ma la sociologia ha dato la rilevante importanza al soggetto e oggetto dei suoi studi? Si tratta di un altro doveroso approfondimento che tracceremo sui prossimi numeri di questa rivista.

Ivana Ferraro

(direfarescrivere, anno XX, n. 220, maggio 2024)
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