Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
Un editore al mese
Giovani realtà editoriali alla prova
per proporre forme letterarie differenti
Intervistiamo Stefano Friani di Racconti edizioni,
l’innovativa realtà culturale dedicata alle storie brevi
di Rosita Mazzei  
Il mondo dell’editoria è probabilmente quello più variegato all’interno dell’universo artistico e culturale. Essendo una realtà altamente competitiva e che, almeno da noi qui in Italia, non sempre vede gli sforzi profusi ripagati in termini economici o di soddisfazione, ecco che bisogna ingegnarsi maggiormente per poter ottenere i risultati sperati e farsi conoscere alla maggior fetta di pubblico possibile.
Come nasca però una casa editrice ben pochi lo sanno e, a dire il vero, ognuna di esse ha alle proprie spalle dinamiche distinte che la differiscono da tutte le altre. In una realtà così variegata abbiamo voluto esporre, tramite le parole di uno dei suoi editori, la nascita e l’evoluzione di una casa editrice che ha deciso di spiccare tra tutte le altre pubblicando una forma letteraria non lodata mai abbastanza e, forse, a volte dimenticata: il racconto breve. Proponiamo di seguito la lunga, interessante e follemente ironica intervista con l’editore Stefano Friani di Racconti edizioni.

Partiamo dal principio: chi sono gli editori di Racconti edizioni? E come è nata l’idea di questa casa editrice?
Racconti nasce nel 2015, quando all’indomani della fine dei rispettivi tirocini formativi su al Nord io ed Emanuele [Giammarco, l’altro editore di Racconti (n.d.r)] ci siamo presi una solenne ciucca a San Lorenzo, da Luppolo 12 (credo ci sia anche una targa commemorativa), e abbiamo cementato il patto con un kebab di rinforzo. Pur venendo entrambi da Filosofia, ci eravamo conosciuti solo al Master in Editoria, giornalismo e management culturale della Sapienza e, dopo qualche tentennamento iniziale, siamo diventati amici e soci.
L’idea di fondare una casa editrice si è tramutata da scherzo in realtà col passare dei mesi e precedeva di sicuro la natura, il contenuto, del progetto editoriale. La prima esigenza è stata quella di dichiararsi abbastanza formati da poter fare quello per cui avevamo studiato e superare di slancio la trafila di stage poco o non pagati. Oggi, lo ripetiamo spesso, è paradossalmente più semplice diventare editore che non redattore in una casa editrice.
I racconti sono arrivati dopo e all’epoca ci è parso di intercettare un movimento che cominciava a profilarsi visto quanti litblog, riviste, osservatori, concorsi andavano nascendo, tutti inequivocabilmente legati alla short story. D’altronde, in un mercato così affollato un nuovo editore idealmente deve fare una cosa sola: rendere disponibile qualcosa che prima non c’era e, se è difficile dire che una casa editrice così mancava, di sicuro non c’era. I racconti si meritavano uno spazio tutto per loro, anche se magari non si meritavano noi.

La proposta editoriale da voi elaborata è più unica che rara. Eppure la storia della letteratura nel corso del tempo ci ha regalato vere e proprie perle artistiche nel campo del racconto breve, basti pensare a Edgar Allan Poe, Howard Phillips Lovecraft o a Nikolaj Gogol’. Cosa è cambiato nel corso dei decenni da portare lettori, o scrittori stessi, a sottovalutare tale forma letteraria?
Ma racconti e raccontisti (© Luca Ricci) buoni se ne trovano e si pubblicano tuttora altrimenti non staremmo qui a parlarne, no? Naturale che il romanzo la faccia da padrone, e sì certamente esiste un vieto pregiudizio nei confronti della forma racconto, ma è anche logico attenderselo, perlomeno editorialmente parlando.
La pluralità dei racconti, nel suo abito sartoriale per eccellenza che può essere la raccolta o l’antologia, prevede una maggiore difficoltà di trasmissione dei contenuti del libro, e la cosa si ripercuote per tutta la filiera: noi fatichiamo a comunicarlo al promotore che a sua volta si troverà in ambasce col libraio il quale, una volta di fronte al lettore, preferirà raccontargli la trama dell’ultimo di Carofiglio. Non che gli editori (e figuriamoci gli scrittori) si sforzino particolarmente per pubblicare libri di racconti che abbiano una coerenza e una loro forza comunicativa.
La rimostranza più comune del lettore medio (ammesso che esista) è che non legge racconti per la difficoltà che si ha nell’immergersi ogni volta dentro una nuova storia e dover abbandonare il tratto di strada percorso accanto ai personaggi appena incontrati. A distanza di anni questa continua a sembrarmi un punto di forza più che un limite: comprando una raccolta, di fatto, sto comprando molti mondi anziché uno.

In un momento così difficile per l’editoria italiana e non solo, come vi muovete per cercare di attrarre il lettore verso i vostri libri e che riscontri vi augurate di trovare?
In quasi cinque anni di vita editoriale Racconti si è tolta le sue belle soddisfazioni: pubblicare autori e autrici come Margaret Atwood, John Cheever, James Baldwin, Eudora Welty, James Purdy, John O’Hara, Rohinton Mistry, per stare solo sui classici contemporanei. John McGahern e Richard Wright per dire gli ultimi due che abbiamo pubblicato. Il nostro primo autore italiano, poi, Elvis Malaj, è arrivato in dozzina al Premio “Strega” con il suo esordio.
Abbiamo coltivato e trovato un nostro pubblico di lettori, non folto, ma fedele e affezionato. Speriamo facciano proseliti, ovvio, ma c’è bisogno di tempo e noi siamo lillipuziani a confronto di altri. Ma compensiamo con una pazienza che altri non hanno.
Quando ho scelto di fare Filosofia tutti mi dicevano, con lungimirante ragionevolezza, che non avrei trovato lavoro. Al che di solito rispondevo che non mi pareva abbondasse negli altri campi. In editoria le vacche sono magre da praticamente sempre, e siamo sicuramente meglio abituati rispetto a chi, a breve, si troverà nella stessa situazione senza il nostro apprendistato.

Tra gli autori proposti all’interno del vostro catalogo si possono notare grandi nomi del panorama internazionale, ma pochi autori italiani. Forse in Italia questa tipologia di opera non è apprezzata dagli scrittori nostrani?
Quando si sceglie di pescare nel mondo il meglio di una determinata forma senza particolari limiti geografici è evidente che un paese relativamente minore e ai margini della scena letteraria, pur con la sua brava tradizione di novellistica, passi un po’ in secondo piano.
Detto questo, prendendoci il nostro tempo per fare ricerca e studiare, abbiamo pubblicato finora tre libri di autori italiani: Dal tuo terrazzo si vede casa mia (pp.164, € 14,00) di Elvis Malaj, Il vizio di smettere (pp. 170, € 14,00) di Michele Orti Manara e Ovunque sulla terra gli uomini (pp. 136, € 14,00) di Marco Marrucci. Se con il primo siamo arrivati nella longlist dello “Strega”, il secondo e il terzo hanno ben figurato per esempio al Premio “Settembrini”, uno dei premi specializzati nel racconto. Tutti e tre poi sono stati menzionati al Premio “Fucini”, sempre per restare nell’ambito della short story.
Insomma, quello che mi preme dire è che vorremmo che gli autori italiani che pubblichiamo e i loro libri possano reggere il passo degli stranieri. Nel prossimo anno posso anticipare che pubblicheremo l’esordio di Giulia Sara Miori, attorno al quale si sta creando legittimamente un certo hype anche dopo la sua ottima performance a 8x8 [concorso letterario per esordienti e non che si svolge in pubblico, in aperto confronto tra autori, editor e lettori (n.d.r)], e il secondo libro di Marco Marrucci, piuttosto atteso dopo che Ovunque sulla terra gli uomini aveva convinto parecchi – noi in primis – sul trovarsi di fronte alla prima prova di uno scrittore maiuscolo.

Che rapporto avete con il mondo delle fiere e con il pubblico? Sperando naturalmente di poter tornare il più presto possibile a pubblicizzare i libri vis-à-vis, come vi trovate a raccontarvi ai lettori durante i grandi eventi?
In genere sono io quello a divertirsi di più e a prenderle più sportivamente tra i due in casa editrice. Il problema, da noi, è che continuiamo a raccontarci un mondo di paillettes e caviale quando poi gli operatori del settore fanno più o meno la fame. Alle fiere, per quanto insostituibili nel creare un rapporto fiduciario col pubblico e cruciali per far sì che gli addetti ai lavori si incontrino, di fatto si regalano i libri perché i costi sono del tutto fuori scala. E questo sia a Torino sia a Roma.
L’unica pensata di più per venire incontro agli editori indipendenti rimane Book Pride, anche se come ha dimostrato l’ultima edizione la tentazione di spostarle on line forse non è il caso di assecondarla, mettiamola così.

C’è un tipo di racconto che apprezzate maggiormente o che amate pubblicare più di altri? Se sì, perché?
Uhm, credo che su questo si abbiano gusti abbastanza vari, per esempio a me la microfiction piace molto, a Emanuele molto meno. Se la domanda è invece sul genere, non abbiamo preclusioni di sorta e ci è capitato con Albero di carne (pp. 356, € 16,00) di Stephen Graham Jones o Viaggi sulla Luna (pp. 272, € 16,00) di fare incursioni nell’horror e nello sci-fi.
C’è di sicuro un identikit del nostro scrittore ideale, che per fortuna non sempre corrisponde a quello che poi finiamo per pubblicare. Ci sembra che le cose migliori che leggiamo vengano dalle letterature di minoranza, da chi ha una prospettiva alternativa e obliqua rispetto alla lingua e alla cultura in cui ci si muove, da chi, per dirla altrimenti, non è a suo agio con gli altri e con sé, chi ha un’identità scissa e vive da straniero, in patria o altrove.

Domanda spinosa, ma doverosa: hai un rapporto diverso tra il libro cartaceo e l’ebook? Quale dei due prediligi e quale, secondo te, preferisce il vostro pubblico?
Se la domanda è rivolta a me personalmente, un tempo avevo un Kindle sul quale scaricavo libri inglesi a ufo e leggevo di tutto ricordando e memorizzando ben poco. A un certo punto mi è morto e non ho più sentito l’esigenza di ricomprarlo, anche perché accanto ho sempre continuato a leggere (e preferire) i libri di carta. La lettura è un’esperienza anche estetica che coinvolge molti sensi, olfatto tatto vista, e il libro, al contrario dei lettori ebook, è un oggetto perfetto, nel senso che non è suscettibile di ulteriori perfezionamenti tecnologici.
Ne ha di biada da mangiare l’ebook e non mi pare si siano fatti passi in avanti rilevanti che giustifichino questa continua riflessione impendente sulla morte della carta.
Su cosa preferiscano i nostri lettori, direi di gran lunga la carta ma come tutti i lettori, i buoni lettori perlomeno.

Tra i progetti della casa editrice vi è anche il blog Altri animali. Da cosa nasce tale iniziativa e dove vuole arrivare?
Altri animali da oltre un anno si è reso indipendente e autonomo dalla casa editrice. Ha una redazione propria e ha allargato di parecchio il proprio raggio di azione e le sue collaborazioni.
Siamo contenti che un progetto simile sia stato partorito in seno a Racconti – e qui va citato e ringraziato soprattutto il suo deus ex machina di allora, Leonardo Neri –, ma oggi è giusto rimarcare che a occuparsene e a farsi il mazzo per tirare fuori contenuti di qualità sono Roberta Sofia, Emanuele Martino, Marco De Laurentis e tutta la redazione.

Nonostante siate in attività da pochi anni è già possibile vedere delle differenze tra le copertine dei primi titoli, che richiamano i disegni a carboncino su uno sfondo bianco, e quelle più recenti, più acquerellate e spesso sviluppate su tutto il piatto. Cosa vi ha spinto a fare questi cambiamenti e come vi relazionate con i vari illustratori?
In parte è vero, il bozzetto o, se preferisci, l’illustrazione un po’ più nuda che avevamo in mente potesse replicare gli scarni tratti del racconto in copertina lo abbiamo ultimamente un po’ messo da parte, anche se già con il terzo capitolo delle nostre pubblicazioni weltiane farà di nuovo la sua comparsa. Il bianco «illuministico» rimane invece uno dei capisaldi e in realtà lo abbiamo davvero abbandonato solo per L’uovo di Barbablù (pp. 316, € 18,00) di Margaret Atwood; mentre la collana degli Scarafaggi nasce con un altro intento, senza illustrazioni, e aveva quindi bisogno di una spinta legata ai colori.
La verità, banalmente, è che siccome i nostri libri mantengono una coerenza grafica a prova di bomba (specie se guardiamo quello che fanno gli altri) certi cambiamenti saltano di più all’occhio. Inoltre, in casa editrice ci piace un po’ giocare con la scatola che ci siamo costruiti e movimentare un pochino le cose.
Per quanto riguarda le assegnazioni, ciascun libro della collana principale è assegnato come una tela a un illustratore che pensiamo possa avere nelle proprie corde l’interpretazione artistica del titolo in questione. Ovviamente così come facciamo scouting e cerchiamo nuovi autori da pubblicare, allo stesso modo ci occupiamo di ricercare e trovare illustratori all’altezza.
Le ultime due cover, per esempio, sono di Diana Ejaita, che ha trovato un’immagine si sposa a meraviglia su Otto uomini (pp. 320, € 18,00) di Richard Wright, e Pia Valentinis che ci ha davvero stupito per le illustrazioni di Cose impossibili di tutti i tipi (pp. 250, € 17,00) di John McGahern. Abbiamo anche realizzato un progetto interessante come Coriandoli il giorno dei morti (pp. 212, € 17,00) di B. Traven assieme a Vittorio Giacopini che non solo l’ha curato, ma l’ha perfino illustrato all’interno, e chissà che questa sinergia non si ripeta nel prossimo futuro.

In poche righe: qual è, secondo te, la vera anima della vostra casa editrice?
In casa editrice siamo in due: uno speed metal punk e un b-boy, i nostri libri riflettono questo strabismo e spero anche una certa capacità curiosa di guardare al futuro. Se uno prende una pagina qualsiasi di LOT (pp. 240, € 18,00) di Bryan Washington si rende subito conto di avere di fronte il domani, per la lingua franca con cui è scritto e tradotto, per il contesto urbano che entra prepotentemente in scena, per le relazioni sentimentali, sessuali, umane e politiche dei suoi abitanti.
Ecco, quando tra dieci o quindici anni un commosso Christian Raimo piangerà in un discorso alla Camera la scomparsa della valente e fresca casa editrice Racconti probabilmente citerà questo libro.

Rosita Mazzei

(direfarescrivere, anno XVI, n. 179, dicembre 2020)
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